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Parrocchia San Pietro - Abbiategrasso

 

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Bisogna convenire che i nostri antenati, che hanno deciso di costruire una nuova chiesa, non erano degli sprovveduti ed avevano idee chiare se hanno affidato la progettazione e la direzione dei lavori della grande opera, ad uno dei più illustri e abili professionisti del tempo: l’architetto ingegnere Francesco Goce.

Basterebbe pensare che si deve proprio a lui la collocazione della “Madonnina” sulla guglia maggiore del Duomo di Milano.

Vediamone la figura più da vicino.

Francesco Croce (n. 1696 +1773), umile agrimensore in origine e come tale collegiato a 19 anni, dopo aver “militato” sotto l’Ing. Raffagno dell’Ospedale Maggiore, nel 1718 lo sostituiva, ultimando nel 1713 la sistemazione dei Sepolcri di S. Michele e chiudendoli nell’elegante recinto porticato a pianta di quadrifoglio.

Autore per il conte Cesare Monti del palazzo di Porta Tosa, poi Andreani-Sormani, ”vestito di tutte le malizie, di tutte le licenze del più incipriato barocchetto”.

Nel 1733 costruiva la cappella del Rosario in S. Eustorgio e nello stesso tempo iniziava un periodo di feconda attività attorno al Duomo.

Più tardi ad Abbiategrasso, ricostruiva la chiesa di S. Maria Nova, camuffandone lo stile; ne conservava però la facciata monumentale, a cui si volle legare il nome di Bramante, e nell’interno una cappella.

Ancora ad Abbiategrasso costruiva l’oratorio del SS. Sacramento, oggi dell’Addolorata e A NUOVO LA CHIESA DI SAN PIETRO di pianta a croce greca.

Nei suoi ultimi anni, fedele agli ideali artistici della sua giovinezza, riaccomodava in linee barocche la cattedrale di Lodi, dove gli venne riconosciuto il merito di averla salvata dal totale disfacimento, costruiva a Milano, a Porta Nuova, la Casa di Correzione che, sostituendo le immonde carceri in uso, fu a lungo considerata come esempio di architettura carceraria non disumana, degna del “secolo dei lumi”. Più importante fu il suo contributo alle opere del Duomo.

Quando il Capitolo metropolitano decide di dare nei lavori la precedenza alla ultimazione della facciata vengono convocati gli architetti presenti in Milano tra i quali il Croce. Ma i convocati non riescono a mettersi d’accordo sulla pregiudiziale: La facciata del Duomo dovrà essere di stile gotico, romano o misto?

I voti risultano equamente divisi tra le tre proposte e il Capitolo nell’incertezza pensa ad una sorte di referendum: si pronunci in merito l’Arcivescovo, si senta la città, il pubblico, si consultino persino i tribunali.

Il Croce si offre pure per un disegno, ma vuole ed ottiene dalla fabbriceria un ordine scritto.

Ma, come sapete, la questione della facciata andrà ancora per le lunghe e bisognerà aspettare l’ordine di un dittatore come Napoleone.

L’interesse della Fabbrica si volge allora alla copertura marmorea, da sostituire con le sue guglie, i trafori, i rampanti al manto di tegole che era ancora provvisorio riparo delle vaste navate e più alla ultimazione del tiburio che l’Ing.. Buzzi aveva immaginato terminare in una svelta guglia.

Ancora una volta le cose si trascinarono per le lunghe per vari motivi, fu allora che la Fabbrica andò per le spicce e passò l’incarico al Croce perché seguisse e facesse proprie le soluzioni di chi l’aveva preceduto.

Così il problema si avviò alla soluzione con una impostazione tutta razionale: intervennero i matematici ad assicurare la statica delle strutture.

Le opere iniziate nel 1765 ebbero termine nel 1769, quando in vetta alla guglia terminale fu issata la popolare “Madonnina”.

Questo fu l’architetto scelto dai sampietrini di allora per costruire la loro chiesa, la quale, con qualche piccola variante, è arrivata intatta fino a noi.


N. B. Le notizie qui contenute sono state ricavate dalla “Storia di Milano" fondazione Treccani, vol. XII.