Parrocchia San Pietro - Abbiategrasso
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MADRE VIRGINIA BESOZZIFONDATRICE DELLA CONGREGAZIONE“FIGLIE DI BETLEM”
VIrginia Besozzi, fondatrice delle Figlie di Betlem, nasce il 24 febbraio 1829 a Monticello Brianza. La madre è della nobile famiglia Castiglioni, il padre, il nobile Pietro Besozzi di Carnisio, è imperial regio impiegato presso la pretura di Missaglia. Nel suo ingresso alla vita trova attorno a sé ben nove fra sorelle e fratelli. In una famiglia numerosa non c’è spazio per la noia, la solitudine prolungata e l’individualismo accentuato. Non mancano preoccupazioni, dolori che vengono affrontati e superati grazie ad una forza vitale che compenetra i membri familiari, li amalgama, così che il gruppo non soccombe. Rinsaldato, permeato di affetto, sfida burrasche, intemperie; può vivere drammi il cui epilogo non è la disperazione o l’alienazione, ma il realismo lucido e penetrante che dà la forza di continuare. Proprio in una famiglia numerosa Virginia vive serenamente la sua infanzia e prima fanciullezza, durante le quali la piccola si foggia un carattere ben determinato, alieno da frivolezze, capace di valutare quali conseguenze possono derivare i suoi atti. Impetuosa e irrequieta, trova calma, tenerezza e pace fra le braccia della madre, che la educa ai valori umani e cristiani. Ma il nome che porta: Besozzi, le impone di ricevere una cosiddetta adeguata educazione ed istruzione presso il Real Collegio della Guastalla di Milano. Nel 1838 è ospite del convitto per fanciulle nobili. Non vi rimarrà a lungo: la mancanza della madre anzitutto, del padre, delle sorelle e dei fratelli ed anche della libertà inciderà negativamente sulla sua salute per cui torna presto a casa. Ma vi ritorna con l’animo segnato da esperienze forti che daranno una connotazione particolare alla sua vita futura. La prima è l’indicibile sofferenza causata dal fatto di vivere lontana dalla madre. E’ tentata di superare il muro di cinta del collegio dove, forse, trova appagamento la sua intelligenza ma non il suo affetto. Non attuerà la fuga solo perché con questo gesto procurerebbe un profondo dolore alla mamma. Il suo stato di salute, però, peggiora. E durante una malattia che sembra condurla alla morte, sogna che il letto su cui giace è coperto da una pesante croce. Ode parole che riaffioreranno spesso durante i momenti difficili della vita: «Tu guarirai, ma dovrai portare questa gran croce»[1]. Purtroppo l’ombra della croce si sta già allungando su di lei: nel 1842, all’età di tredici anni, perde il padre. Con la madre, che ama ancor più intensamente, si trasferisce nel capoluogo lombardo. E’ certo che Virginia vive a Milano il ’48. Con quali sentimenti abbia partecipato o guardato l’insurrezione della città non ci è dato di sapere. Dalla lettura della biografia di C. Romanò, La Madre Virginia Besozzi, emerge la figura di una giovane particolarmente attenta all’interiorità e decisa a seguire Cristo: «Oh, Sposo dolcissimo dell’anima mia, a Voi tocca pensare al decoro di questa vostra sposa, che, per esservi fedele, ha rinunciato ad ogni umano appoggio, per non fidarsi che di Voi e delle vostre infallibili promesse; e nella mia speranza non sarò confusa in eterno»[2]. Siccome non lascia intravedere nulla di quello che avviene nel suo mondo interiore, da più parti è sollecitata ad orientarsi al matrimonio. La scelta della vita impegna tutte le sue energie e sembra prostrarla. Per Virginia è la notte dello spirito. Annota sul suo diario di essere «messa in questi anni alle più dure prove dal mio amabilissimo sposo Gesù»[3]. E le prove sono le «aridità continue di spirito» e il sentirsi «oppressa sotto il peso dell’afflizione»[4]. Il vuoto interiore è ulteriormente scavato dalla morte della madre avvenuta nel settembre 1855.
Un carisma particolare: essere madre di chi non ha più la madreAttenta ai problemi dell’infanzia, problemi resi più acuti e gravi dalla mancanza della figura materna, Virginia si prodiga per l’accoglienza e l’educazione delle piccole orfane. In questa sua opera è aiutata da Annetta Giudici, originaria di Nesso (Co), ma abitante a Milano nello stesso palazzo della Besozzi, e da altre giovani. In poco tempo numerose bimbe trovano di nuovo un ambiente familiare. La nuova fondazione cui dà il nome di Casa di S. Giuseppe, è benedetta con gioia dall’Arcivescovo di Milano, Mons. Luigi dei Conti di Calabiana. Tutto sembra procedere senza intoppi. Ma all’orizzonte appaiono ben presto cupi nuvoloni: don Filippo Schiomachen, superiore della Casa, uomo originale e che non accetta pareri da nessuno, vuole che la fondatrice si dedichi alle minorenni «pericolanti» o «pericolate». Con dolore Virginia asseconda il parere del sacerdote. Fa costruire lei stessa un istituto più capace a Porta Vigentina. E con la preghiera e con il lavoro di ricamo e di cucito riabilita questa giovani avviate allo sfruttamento o già sfruttate. Ma diviene sempre più impossibile collaborare con don Schiomachen, che la rimuove dall’incarico. E’ a questo punto che il direttore spirituale impone a Virginia, per obbedienza, di lasciare la Casa di S. Giuseppe: è pronta per la nuova fondazione: la Casa di Betlem.
17 aprile 1871/20 giugno 1888: Fondatrice e Madre della Casa di Betlem A Milano, nelle prime ore del mattino del 17 aprile 1871, un brumista trasporta da Porta Vigentina a Porta Nuova due signorine, non più giovani, sul cui volto appaiono tracce di dolore. Soprattutto la Besozzi appare particolarmente provata. La sera precedente ha chiesto ad Annetta se vuol condividere di nuovo con lei la missione caritativo-educativa verso bimbe orfane o prive di assistenza materna. A tale proposta, forse imprevista, la Giudici non dà subito il proprio assenso. Fra le due si intreccia un brevissimo dialogo. «Anch’ella mi abbandona? Fiat! Resterò sola con il mio Gesù». «Eccomi, cara Madre, la seguirò sempre sino alla morte»[5]. E il mattino seguente, dopo aver partecipato ad una solenne celebrazione eucaristica, in un silenzio più eloquente di qualsiasi discorso, si dirigono verso la nuova destinazione. Nasce l’Istituto delle Figlie di Betlem. Alla nuova comunità, raccolta attorno a lei, la Besozzi non dà il nome di Congregazione ma quello più semplice di Casa di Betlem perché, quando la casa è veramente casa, ognuno vi si trova a proprio agio, o per lo meno desidera ritornarvi presto. Siccome nel giro di quattro anni sia il numero delle suore sia quello delle ragazze aumenta, nel 1875 la fondatrice è costretta a cercare una casa più ampia. La trova, sempre in Milano, in via S. Vittore 24, ove muore il 20 giugno 1888.
Alla luce del carisma della fondatrice, le Figlie di Betlem svolgono la loro missione nella chiesa e nella società: - nelle case di accoglienza per minori su provvedimento del Tribunale - nelle scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di I grado - nella pastorale parrocchiale - negli oratori - nell’accoglienza recettiva per giovani lavoratrici |