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Messaggio per la Festa di apertura degli oratori 2014
«Camminiamo insieme incontro a Gesù»
Carissimi,
dopo la pausa estiva i nostri oratori sono pronti a tuffarsi di nuovo nell’entusiasmante avventura di vivere il vangelo di Gesù e di proporlo ad altri
Tutto ciò non sarebbe possibile se non fosse preparato e come anticipato dalla
vita ordinaria durante tutto l’anno, nei mesi che prevedono gli impegni
scolastici, le diverse attività sportive e culturali, la catechesi e il
ritrovarsi con gli adulti la domenica nell’Eucaristia e nella vita comunitaria.
In oratorio i più giovani sono oggetto di cura da parte dei catechisti e degli
educatori, coordinati dai responsabili, ma incontrano anche gli allenatori
sportivi, gli animatori della liturgia (penso ai tanti coretti parrocchiali e ai
numerosi gruppi di chierichetti che ho avuto la gioia di incontrare in aprile in
Duomo) e in generale i tanti adulti che con generosità si occupano del buon
funzionamento delle strutture. In oratorio i genitori trovano un luogo
accogliente per i propri figli, ma scoprono anche una crescente attenzione nei
confronti delle proprie domande, delle attese che portano nel cuore sul futuro
dei loro figli. Anche i cammini di Iniziazione cristiana si faranno sempre più
attenti a coinvolgere i genitori nel percorso di educazione alla fede dei
ragazzi.
In
oratorio catechisti, genitori, insegnanti, allenatori ed animatori donano con
gratuità tempo e passione per la crescita dei più piccoli e con stupore
riconoscono quanto questo stile di dedizione nei confronti dei ragazzi sia
con-veniente alla propria vita e alla propria fede. Al tempo stesso sono
invitati a farsi sempre più curiosi nello scoprire come gli altri soggetti
educanti si rapportano e interagiscono coi ragazzi: infatti sono sempre gli
stessi ragazzi che frequentano, oltre all’oratorio, la scuola, le attività
sportive, le proposte culturali per il tempo libero.
In oratorio i responsabili (siano essi presbiteri, religiose o laici), di fronte
alla crescente complessità della vita e delle relazioni, sperimentano quanto sia
fondamentale custodire rapporti pienamente umani, e quindi autenticamente
evangelici, con tutte le figure che, a vario titolo, mettono a disposizione il
proprio tempo e la propria passione per i ragazzi. In questo anno ho scelto di
non offrire alla diocesi nuovi orientamenti pastorali, ma di riprendere quanto
già suggerito negli anni scorsi rileggendolo alla luce di una proposta che
attraversa ogni ambito della pastorale: la Comunità educante. Nasce da qui lo
slogan che accompagnerà questo anno oratoriano: Solo insieme. È lo stile di
Gesù, lo stile con il quale ha educato e guidato i suoi dodici amici e i tanti
discepoli, quelli che sarebbero diventati i suoi apostoli. Dopo averli scelti,
li ha invitati non a un corso o a delle lezioni, ma a condividere una vita, a
creare una comunità nella quale scoprire e approfondire la sua persona e le
relazioni tra di loro. Una vita rinnovata aperta a tutti, così come sono i
nostri oratori.
Anche
noi, fin dal giorno del nostro battesimo, siamo chiamati alla comunione con Gesù
e abbiamo ricevuto in dono lo strumento e il luogo (anzi, ripensando
all’oratorio estivo direi: la casa!) per crescere nell’amicizia con Gesù. Questa
casa è l’oratorio. Impegniamoci allora tutti insieme per renderlo sempre più
luogo trasparente della bellezza dell’incontro col Signore. Ci guida in questo
lo Spirito del Signore e anche le parole del nostro amato Papa Francesco. Nella
Lettera Evangelii Gaudium («La gioia del vangelo») – testo che mi auguro sia
ripreso e approfondito – egli parla di «fraternità mistica» (§92). La
fraternità, lo stare insieme, la vita in comune non è soltanto qualcosa di
comodo o funzionale, ma è una realtà «mistica», cioè capace di aprirci e
spalancarci al Mistero per eccellenza, quello di Dio. E conclude il Papa con una
raccomandazione che possiamo fare anche nostra: «Non lasciamoci rubare la
comunità!».
Buon anno, allora! Camminiamo insieme – anzi, Solo insieme! – incontro a Gesù.
Cardinale Angelo Scola
COME DON BOSCO - PINO PELLEGRINO
Le malattie dell'educazione
3. La 'sclerocardia'
(la durezza di cuore)
Se
la malattia della 'figliolite' può avere una giustificazione nella sensibilità
delle mamme, se la 'tarantolite' si può spiegare in tempi di crisi come i
nostri, la 'sclerocardia' ('durezza di cuore') sulla quale vogliamo fermarci in
questo mese, non ha giustificazione alcuna, tanto è cattiva e disgustosa
Non è forse vero che non amare i figli è da crudeli? Da sadici? Eppure oggi,
mentre la Terra si riscalda, i cuori si raffreddano, l'analfabetismo affettivo
si diffonde sempre più la mancanza di tenerezza pare ai minimi storici.
Lo avvertono tutti gli spiriti più sensibili e attenti.
Lo psichiatra Paolo Crepet (1951) è molto chiaro: "Dietro migliaia di luci
accese nei condomini delle nostre città si nascondono solitudini, rancori,
latitanze affettive". Non meno esplicito era il nostro più noto pediatra del
secolo scorso, Marcello Bernardi (1922-2001): "Viviamo in un mondo sempre più
povero di amore. Questo è il grande rischio che vedo davanti ai nostri
bambini!".
Anche l'educatore Antonio Mazzi (1929) è sulla stessa linea: "La crisi più profonda oggi parte dalla mancanza di abbracci, di relazioni, di amicizia, di tenerezza". Niente sarebbe più facile che continuare a snocciolare conferme autorevoli sul nostro inverno pedagogico, ma il lettore sa che non è nel nostro stile persistere nel mettere il dito sulle piaghe: preferiamo curarle!
Ebbene diciamo subito che anche alla 'sclerocardia' si possono tranquillamente
tagliare le unghie.
La 'sclerocardia' si combatte mettendo in circolazione parole di seta.
Queste
sono parole terapeutiche. Privare di esse il figlio, è come disidratargli
l'anima, è devitalizzarlo. Non usiamole con il contagocce: quelle sono parole
benedette! Gli studiosi stanno ancora cercando una medicina più efficace delle
parole di seta!
La 'sclerocardia' si combatte con le coccole. Alcuni anni fa era in circolazione
un magnifico lavoro intitolato "La terapia delle coccole". L'autore, Piero
Balestro, provava che il contatto pelle a pelle ha effetti prodigiosi: giova
alla crescita, previene le malattie, migliora l'umore, stabilizza le funzioni
cardiache.
È certo: cinque secondi di carezze comunicano più salute che un'ora di parole!
Coccolare è baciare l'anima! Lo sapeva Gesù stesso che non per nulla praticava
il linguaggio dell'abbraccio (Mc 10,16). Linguaggio, dissennatamente,
dimenticato! Troppi sono oggi i piccoli che soffrono di reumatismi
psicologici contratti in quelle famiglie nelle quali si ha paura a lasciarsi
andare alle carezze.
Finalmente, la 'sclerocardia' si combatte regalando gentilezze.
Regalare gentilezze è cortesia, attenzione, premura: è accompagnare il bambino a
letto e non mandarlo; è fargli una sorpresa; è preparargli la pietanza che gli
piace tanto; è partecipare alla recita scolastica di fine anno, anche a costo di
lasciare un impegno importante. Sì, per tutta la vita il figlio si ricorderà che
avete preferito lui ai vostri impegni. Per tutta la vita si ricorderà d'aver
avuto genitori che con il loro alto voltaggio emotivo riscaldavano sempre la
casa anche con i termosifoni spenti.
PRENDO NOTA
• Una parola calda riscalda tre stagioni fredde.
• Il rimprovero fa bene, l'incoraggiamento di più!
• Nulla rende più ansioso il figlio che sentirsi dire da mamma e papà che
potrebbe fare di più!
• La pecora che bela perde il boccone: non è da intelligenti dedicarsi ai
lamenti!
• Dare tutto al figlio è preparare un infelice: il passero ubriaco trova amare
persino le ciliegie!
• Briglia sciolta, un po' alla volta. Quando il dentifricio è uscito dal
tubetto, chi riesce ancora a farlo rientrare?
• "I bambini di oggi sembrano sapere tante cose - e le sanno -, ma sotto il
bambino tecnologico vi è il bambino eterno che non può vivere senza l'affetto e
l'amore di qualcuno che lo aiuti a crescere" (Mario Lodi, maestro e scrittore,
vivente).
• "Se amassimo davvero i nostri figli, non li costringeremmo a passare le
giornate tra scuola, piscina, lezioni di nuoto o di violino, palestra, corsi di
computer, con il solo scopo di annichilirli!" (Paolo Crepet, psichiatra,
vivente).
• "Viene ripetuto in continuazione: 'I giovani sono maleducati, avidi
violenti!'. Però nessuno dice: 'Perché sono così?'. Fin dalla nascita, li
abbiamo coperti di spazzatura e adesso ci lamentiamo del loro cattivo odore!"
(Susanna Tamaro, scrittrice, vivente).
QUESTO DICO AL FIGLIO ADOLESCENTE
"Se non puoi crescere in altezza, cresci in simpatia!".
L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, non sulla statura.
Mostra la testa, prima dell'ombelico!
Rifiuta d'essere un lavandino nel quale passa tutto: hai pure la tua dignità!
Aspettati grandi cose dal tuo cervello: non ti deluderà!
LA LINEA D'OMBRA - ALESSANDRA MASTRODONATO
Perennemente insoddisfatti?
Tanti
giovani sperimentano dolorosamente un corrosivo sentimento di scontento, la
difficoltà di gioire e di provare gratitudine per le piccole cose,
l'impossibilità di vivere pienamente qui e ora, il pervicace e frustrante
desiderio di essere altrove, di vivere una vita diversa da quella ricevuta in
dono, di essere differenti da come sono.
Una perenne insoddisfazione. Secondo alcune recenti ricerche si tratta di una
"malattia" assai diffusa tra i giovani italiani, spesso alle prese con lavori
precari e poco gratificanti, un vissuto sentimentale deludente, un senso di
inadeguatezza che parte dalla sfera più intima del rapporto con se stessi e si
allarga a macchia d'olio fino a coinvolgere ogni relazione, ogni esperienza di
vita, ogni ambito dell'esistenza.
Inquieti, scontenti, irrisolti: appaiono così i giovani del terzo millennio,
impegnati nella quotidiana e faticosa ricerca di una più compiuta realizzazione
delle proprie aspettative, di una serenità interiore costantemente inseguita e
mai pienamente raggiunta, di risposte convincenti alle proprie martellanti
domande di senso.
Un'insoddisfazione endemica, radicata, difficile da spiegare; quasi un rumore di
sottofondo che accompagna immancabilmente le loro giornate. Un'insoddisfazione
che diviene "male di vivere" quando impedisce persino di godere del presente, di
mettere a fuoco le proprie aspirazioni più autentiche, di intravedere la
bellezza stessa dell'esistenza, svuotando di senso ogni gesto, ogni scelta, ogni
possibile opzione esistenziale. Avviene così che tanti giovani sperimentino
dolorosamente un corrosivo sentimento di scontento, la difficoltà di gioire e di
provare gratitudine per le piccole cose, l'impossibilità di vivere pienamente
qui e ora, il pervicace e frustrante desiderio di essere altrove, di vivere una
vita diversa da quella ricevuta in dono, di essere differenti da come sono.
E mentre sono impegnati a vagheggiare un'esistenza altra e in grado di appagare
la loro inesauribile sete di felicità, finiscono per perdere l'occasione
irripetibile di vivere appieno il loro presente, di dare un senso più profondo
alla loro quotidianità, di riconoscere ciò che vi è di bello e di straordinario
nella loro vita.
Quale,
allora, il rimedio possibile per non lasciarsi sopraffare da questo perenne
stato di insoddisfazione? Forse quello di accontentarsi della propria condizione
presente, senza tendere a nulla di più, senza desiderare niente di più grande,
mettendo a tacere quella voce interiore che incoraggia a ricercare una felicità
più piena? Forse, tra questi due estremi, tra l'incapacità di godere del
presente nella spasmodica e irrequieta ricerca di un orizzonte di vita altro e
la tentazione di "volare basso" rinunciando a priori a inseguire i propri sogni
e le proprie aspirazioni più profonde, esiste una strada intermedia.
Quando non diventa distruttiva, l'insoddisfazione - questa salutare inquietudine
che si sostanzia nella costante tensione verso l'appagamento del proprio innato
desiderio di qualcosa di "più" - può diventare motore di cambiamento, stimolo a
porsi di fronte alla realtà in modo creativo e propositivo, spinta verso la
piena valorizzazione delle proprie aspirazioni personali, impegno a rimboccarsi
le maniche e darsi da fare per costruire una quotidianità davvero vivibile.
Quando non si riduce a sterile velleitarismo o ad esasperata conflittualità con
se stessi e con il mondo esterno, ma viene amministrata positivamente, può
tradursi nell'"utopia concreta" di un'esistenza più piena ed appagante. E, se
non si limita ad esprimere un'esigenza soggettiva, ma diviene una forza che
aggrega i bisogni propri ed altrui, decantandoli di tutti quegli elementi
egoistici che mirano solo all'affermazione di sé, può essere persino foriera
della messa a fuoco di una progettazione condivisa che sia davvero capace di
migliorare e trasfigurare la realtà.
Tutto questo tempo a chiedermi
(Elisa, Qualcosa che non c'è, 2006)
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