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Quaresima di fraternità 2012 - proposta

 

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 su Catechesi dell'Arcivescovo      1) La condanna  2) Sulla via della croce  3) L'umiliazione dell'amore

Via Crucis con l’Arcivescovo

Per le sue piaghe noi siamo stati guariti (Is 53,5)

1 LA CONDANNA

(Stazioni I-III)

 

I.  Gesù è condannato a morte. Il potere di infliggere la pena capitale spettava agli occupanti romani, perciò Gesù, dopo che il sinedrio per bocca di Caifa l’aveva già processato e condannato a morte per bestemmia, fu consegnato al governatore romano Ponzio Pilato perché emettesse la sentenza definitiva. Dopo alcuni tentativi di salvare il condannato, Pilato, pragmatico fino al cinismo, eppure incapace di sostenere lo sguardo di Gesù - come ben mostra il dipinto del Previati - cedette al ricatto e alle urla - «Crocifiggilo! Crocifiggilo!» - di una folla aizzata ed inferocita: «Essi urlavano a gran voce… Essi però insistevano a gran voce… e le loro grida crescevano» (Lc 23,21 e 23). Il potere religioso ed il potere politico si alleano nel condannare l’Innocente («Ed egli, per la terza volta, disse loro: “Ma che male ha fatto?”» Lc 23,22) e liberare l’assassino. Così la violenza cieca, simboleggiata da Previati con la lancia piantata al centro della scena, ha la meglio. Viene liberato Barabba e messo a morte Gesù.

Di fronte a questa testimonianza resa dal Condannato «non si può restare in disparte o al margine… non ci è lecito lavarci le mani», ci ha ricordato il Beato Giovanni Paolo II. È questo un primo e decisivo cambiamento che la Quaresima urge a noi cristiani: del nostro male siamo responsabili, non possiamo farci da parte. Davanti all’Innocente ingiustamente condannato ognuno è chiamato a riconoscere la propria responsabilità: i nostri atti, i nostri pensieri e sentimenti ci seguono, i nostri peccati ci accusano. “Perdonami mio Signore di tutto il male mio”. È il grido della Quaresima. La preghiera è la prima grande parola della Quaresima. L’espressione oggettiva della nostra addolorata supplica si trova nel Sacramento della Penitenza. Rinnovo l’invito ai Sacerdoti perché siano disponibili ad ascoltare le Confessioni in questo tempo quaresimale (Duomo, Parrocchia, Santuari, Chiese principali delle Comunità pastorali e del Decanato).

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II.  Gesù è caricato della croce (cfr Gv 19,17). Caifa consegna Gesù a Pilato, Pilato lo consegna alla folla… e Lui si consegna agli uomini per amore. L’Innocente ingiustamente condannato non subisce il verdetto come una sciagura: Egli, in modo per noi sconcertante ma rivelatore, si erge come il protagonista della scena. L’Innocente consegna se stesso: è certamente caricato della croce, eppure è Lui a prenderla su di Sé.

Gesù condannato a morte ci urge a farci carico, a nostra volta, del mondo, a prendere su noi stessi la sorte degli innocenti. Infatti, «da quando Gesù si è lasciato percuotere, proprio i feriti e i percossi sono immagine del Dio che ha voluto soffrire per noi. Così, nel mezzo della sua passione, Gesù è immagine di speranza: Dio sta dalla parte dei sofferenti» (J. Ratzinger - Benedetto XVI, Gesù di Nazaret 2, 224).

Ogni giorno, purtroppo, siamo colpiti da un diluvio di immagini e di notizie che ci dicono che l’innocenza è disprezzata, violata, sacrificata. Eppure solo l’innocenza è fonte di speranza e di edificazione umana e sociale. Gli innumerevoli testimoni, consapevoli o inconsapevoli, dell’Innocente Crocifisso sono lì a dimostrarcelo.

Accogliendo liberamente la condanna che Gli viene inflitta, Gesù diviene un interlocutore affidabile della nostra persona segnata dal male e dalla ribellione. Scrive acutamente il poeta Luzi: «Sfogare sopra un misero e indifeso corpo umano che hanno nelle loro mani, l’astio d’un antico e inconfessato paragone con la divinità, questo li esalta». È la tentazione, sempre insorgente nell’uomo, di sfidare Dio, di chiamarLo in giudizio davanti al tribunale del mondo, di sottrarsi a Dio e ad ogni dipendenza. Una tentazione che nelle società secolarizzate del nostro tempo rischia di farsi sistema. Ma spesso l’inaccettabilità rabbiosa di Dio, del Padre, è l’altra faccia del bisogno struggente di Lui.

Come duemila anni fa anche questa sera l’Innocente Condannato sta, inerme, davanti a noi uomini sofisticati del Terzo Millennio. Il Suo sguardo implorante ci ripete: «Milano, non perdere di vista Dio». Chi di noi potrà accusarlo di essere nemico dell’uomo? È lo stesso Luzi a dirci la potenza del Suo abbraccio quando mette sulle labbra del Crocifisso l’invocazione al Padre: «Eppure abbi pietà, perdonali». Questo radicale eppure congiunge inscindibilmente tutta la profondità del nostro male con l’abisso insondabile della misericordia di Dio. Gesù, infatti, «portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero» (Gv 19,17-18).

 Amici, nell’attuale frangente di travaglio sociale ed economico, quanto siamo disposti a fare di questo eppure di misericordia il criterio dei nostri rapporti? Non permetteremo dunque alla carità – la seconda grande parola della Quaresima – di trasfigurare le strette maglie di una giustizia “troppo umana” in cui la coscienza del male non lascia scampo alla redenzione? I rapporti sociali sono chiamati ad un realismo che esprima la misericordia, propria della giustizia divina, come parola definitiva sull’umana esperienza e vinca la tentazione utopica, sempre in agguato per l’uomo, di farsi giustizia da sé.

La lunga e gloriosa tradizione cristiana di Milano l’ha resa città solidale e perciò valorizzatrice di ogni libertà rettamente intesa, propria della persona e dei corpi intermedi. Le Parrocchie, le Comunità religiose e tutte le aggregazioni ecclesiali siano luoghi di vita buona del Vangelo per tutti. La vita buona del Vangelo è una proposta interessante anche per chi crede di non credere.

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III.  Gesù cade per la prima volta. L’eppure perdonali non è un per modo di dire. Gesù, infatti, «si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori», Egli è l’Uomo dei dolori «castigato, percosso da Dio e umiliato» (Is 53,4). «Ecce homo»!

Lo abbiamo ascoltato nel bellissimo brano di Tomás Luis De Victoria: «Vere languores nostros ipse tulit… cuius livore sanati sumus», Egli ha preso su di Sé veramente le nostre debolezze… dal suo corpo tumefatto e sfigurato noi siamo stati sanati. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci ricorda che «mediante la sua obbedienza di amore al Padre “fino alla morte di croce” Gesù compie la missione espiatrice del Servo sofferente che giustifica molti addossandosi la loro iniquità» (CCC n. 623).

In Gesù che cade si mostra tutta l’oppressione del male e del peccato. Ma Egli, cadendo sotto il peso dei nostri peccati ci rialza per la Sua condivisione amorosa. Il Suo amore è testardo: «Non resta che procedere tutto d’un fiato e imparare a conoscere pietra dopo pietra, e se il piede manca, è il cuore che si ostina». Così Claudel esprime la decisa volontà di salvezza che sosteneva Gesù nel cammino del Calvario.

 Il Signore non solo ha voluto soffrire con noi, ma per noi. Egli cade sotto il peso della croce, ma, ecco il divino paradosso, lo fa per propria decisione. Volontariamente (sponte) Egli abbracciò la croce. Chi, tra noi, ha reso abituale questa volontà di sacrificio?

 

Il digiuno – la terza grande parola della Quaresima – rende ognuno di noi “dominus sui”: il digiuno aiuta la signorìa sul proprio io. La maturità è coscienza del proprio limite e peccato. C’è uno smog del cuore, più nefasto di quello dell’atmosfera che pregiudica la nostra salute, perché pregiudica la nostra salvezza inquinando le menti ed alterando i rapporti primari dell’uomo con se stesso, con gli altri e con Dio.

 

Signore Gesù, Innocente condannato,

muovici al dolore dei nostri peccati,

annulla la nostra condanna./

Caricato della Croce hai abbracciato

ogni umana miseria ed ingiustizia,

sii Tu il nostro conforto./

Innocente, caduto sotto il peso della Croce,

Ti sei lasciato sprofondare

nell’abisso infernale

del male e del peccato:

non allentare il Tuo abbraccio./

De profundis clamavi ad Te, Domine:

Tu sei la nostra speranza

o divino Salvatore./

Amen.

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Inizio catechesi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 1) La condanna  2) Sulla via della croce  3) L'umiliazione dell'amore

Via Crucis con l’Arcivescovo

Per le sue piaghe noi siamo stati guariti (Is 53,5)

2) SULLA VIA DELLA CROCE

(Stazioni IV-VII)

 Che rapporto c’è tra il male e Dio? Lo tocca? Lo nega? Lo lascia indifferente? La libertà infinita di Dio “può” qualcosa contro la libertà finita (da Lui stesso creata), se essa si indurisce in un no? Sono domande che attraversano tutta la storia della famiglia umana. «Se Dio è onnipotente e provvidente, perché allora esiste il male?» si chiede il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC n. 57).

Uno cielo opaco ed opprimente sopra uno spazio desolato, remoto dalla città degli uomini. Uno spazio spento, attraversato dalla croce che, sola, ne segna il senso (significato e direzione). Con questa potente immagine Previati evoca la risposta al mysterium iniquitatis che ogni uomo, senza distinzioni, sente pesare sulla propria vita.

Dio, nel Figlio incarnato, si carica sulle spalle il no degli uomini: «Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce» (1Pt 2,24). Insiste il Catechismo: «Dio non è in alcun modo, né direttamente né indirettamente, la causa del male. Egli illumina il mistero del male nel suo Figlio, Gesù Cristo, che è morto e risorto per vincere quel grande male morale che è il peccato degli uomini e che è la radice degli altri mali» (CCC n. 57).

Amici, questa sera siamo tornati fedelmente nel nostro bel Duomo per seguire in preghiera la via della liberazione dal male (salvezza) aperta dal Crocifisso glorioso. Sulla via della croce - così infatti abbiamo intitolato questa seconda tappa del nostro cammino catechetico di Quaresima - apprestiamoci, quindi, a calcare le orme, con il cuore pieno di affetto, dell’Innocente condannato.

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Contempliamo Cristo che liberamente si lascia imporre la Croce sulle spalle e con decisione inizia a percorrere la Via dolorosa: il Santo, l’Innocente si carica del nostro dolore fino a morirne. In questa tappa della nostra catechesi quaresimale emergono con forza gli incontri di Gesù lungo la Via della croce: con la Madre, con il Cireneo, con la Veronica.

IV. Gesù incontra la madre

Nella sofferenza che talora appesantisce le nostre giornate e rende lunghe e inquiete le notti, non siamo soli: Gesù è con noi. Ma, in qualche modo, è vero anche l’atteggiamento reciproco: secoli di tradizione cristiana ci hanno insegnato ad accompagnare Gesù nella Sua sofferenza. E questo perché la com-passione, il patire-con (essere sensibile all’altro, soprattutto alle sue sofferenze), lega, al di là di ogni diversità, tutti gli uomini. La famiglia umana infatti ha in Dio, lo si riconosca o meno, un unico Padre. E Gesù è in tutto, tranne che nel peccato, uomo.

«Anche a te - dice il vecchio Simeone a Maria, prefigurando il mistero dell’Addolorata - una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,35). La Madre è venuta incontro al Figlio e si strugge per l’impotenza ad arrestarne il supplizio.

«O croce, e che farai? El figlio mio torrai? E che ce apponerai che non ha en sé peccato?»: mettendo sulle labbra della Madonna un dialogo (che è in realtà uno straziato monologo) con la croce, il genio di Jacopone si fa interprete di tutte le vittime della violenza del male. “Figlio bianco e vermiglio” così Maria inizia il suo dolcissimo compianto su Cristo. Bianco, l’innocenza; rosso il sacrificio. Sono i colori dello stemma della nostra città. Alla poesia di Jacopone fa eco, con insuperata intensità, il Caligaverunt di De Victoria «I miei occhi sono annebbiati dalle mie lacrime: considerate, popoli tutti, se c’è un dolore come il mio».

Nel quadro di Previati la Madre precede la piccola compagnia che segue il Figlio: anche nel momento estremo della Croce, Maria precede anche noi, stasera, ci conduce al Signore. Maria è veramente madre. Come fa, o dovrebbe fare, ogni madre chiamata a condurre il figlio al padre. Compito della madre infatti è condurre il figlio all’altro, soprattutto a suo padre.

Ogni sera, prima di dormire, impegniamoci ad affidare la nostra persona - e in particolare la nostra vocazione – alla nostra Madre celeste recitando un’Ave Maria, magari in ginocchio.

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V. Gesù è aiutato dal Cireneo

A uno solo - e per giunta sconosciuto e straniero - è concesso lo straordinario privilegio di una collaborazione, benché minima, con l’opera di salvezza di Gesù. E non importa se il suo gesto è del tutto casuale, forse anche non voluto o, per lo meno, fatto di malavoglia: «Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene» (Mt 15,21).

Duemila anni fa in luogo sperduto della terra, un tale che ritornava dal lavoro, probabilmente stanco e desideroso di arrivare quanto prima a casa, cedette ad una “misteriosa costrizione”. E da quel momento il suo nome divenne familiare a tutti gli uomini del mondo e della storia. Ancora oggi noi ne sentiamo parlare con precisione di dati, come si fa con un amico: «Simone di Cirene, il padre di Alessandro e di Rufo».

«Felice colui che lo vide nel tempo, e che pure non lo vide che una volta» (Péguy, I Misteri). Nella gratuità assoluta della grazia dell’incontro «con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Benedetto XVI, Deus caritas est 1) si apre nell’esistenza umana lo spazio della felicità, anche quando quell’incontro è segnato dal dolore e dalla sofferenza.

L’episodio del Cireneo ci dice che dalla com-passione nasce la solidarietà. Lo vediamo bene negli aspetti decisivi della nostra vita quotidiana: gli affetti, il lavoro, il riposo. La “com-passione” rappresenta un fattore di coesione sociale, può essere principio di una società giusta e umana. Ci spinge fino a farci carico del male e del dolore di coloro che non riescono a portarlo sulle proprie spalle.

A questi aspetti decisivi della nostra vita vuole richiamarci il VII Incontro Mondiale delle Famiglie impreziosito dal dono straordinario della presenza per ben tre giorni di Benedetto XVI tra noi.

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VI. Gesù incontra Veronica

Cristo è lo splendore della gloria del Padre, ci ha testimoniato Santa Chiara, invitandoci a contemplare «l’ineffabile carità con la quale ha voluto soffrire». Gli occhi della Veronica la contemplarono e il suo tenero gesto di compassione la seppe custodire. Cercando incessantemente il Suo volto ella fu capace di riconoscerLo anche sotto la maschera ripugnante della sofferenza, senza «apparenza né bellezza», senza «splendore per poterci piacere» (Is 53,2).

Qualche anno fa in Francia, a Nizza, venne proposto a tutti gli studenti liceali e universitari un Concorso in cui si chiedeva di rappresentare graficamente la loro immagine di Dio. Vinse un liceale con un disegno così concepito: nella fascia alta del foglio un cielo chiaro e nuvole illuminate da mille colori, sotto un volto bellissimo, secondo l’ideale greco dell’uomo apollineo e infine, nella parte inferiore del foglio, un mondo in rovina: macerie, la devastazione dello tsunami, teatri di guerre e di attentati, morti… con questo titolo: Dieu, le tout puissant, incapable - Dio, l’Onnipotente, un incapace.

Invece quest’Uomo dal cui abbraccio siamo stati attirati fin qui anche questa sera è l’esatto contrario: è l’ Impotente capace, tanto è vero che rigenera la vita. La Bellezza – a ben vedere - è in questo volto sfigurato che ci dice la disponibilità di Dio a dare la Sua vita per noi; o, per usare la parola giusta, ci dice il Suo sacrificio. Il sacrificio oggettivo non annulla il desiderio di felicità che abita nel nostro cuore. Anzi lo compie! Per questo il sacrificio nell’esperienza del Crocifisso e di quelli che si pongono alla Sua sequela, i martiri, si trasfigura in Bellezza.

«Il tuo volto, Signore io cerco» (Salmo 26): il Volto dell’Impotente capace è il Volto della misericordia. Cercare il Volto della misericordia è l’essenza del cuore dell’uomo, la più alta aspirazione della ragione.

Come la Veronica sono migliaia i cristiani che, dalla mattina di Pasqua fino ad oggi, si spendono personalmente in opere di carità in tutto il mondo. Prendiamo questa sera la decisione di donare in questo tempo di Quaresima, almeno una volta, un po’ del nostro tempo libero, agli ammalati, agli anziani, ai carcerati, a quanti sono soli. E ricordiamoci del gesto di solidarietà a favore dell’Ospedale di Chirundu, in Zambia.

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VII. Gesù cade la seconda volta

Nel peccato l’uomo, ribellandosi alla dipendenza dal Creatore, si sottomette ad un altro che lo tiene in scacco; viene soggiogato dal Maligno, insultato e maltrattato da lui… Per liberarci dal Maligno il Signore Gesù sceglie, obbedendo al Padre, di portare su di sé con mite ma energica docilità, il nostro peccato: «Insultato non rispondeva con insulti, maltrattato non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia» (1Pt 2,23). Gesù si carica della croce del nostro peccato e ne porta le conseguenze fino a cadere sotto il loro peso). Noi invece, tendenzialmente rimuoviamo il peccato, lo “scarichiamo” e gettiamo su “altro” e su “altri” le sue conseguenze. Così di fronte alle varie forme di male, di fronte a una disgrazia fisica - penso allo tsunami, o ai devastanti terremoti di Haiti e del Giappone, o alla assurda tragedia del Concordia… - ma ancor di più di fronte al male morale, l’uomo è spinto a cercare un capro espiatorio, qualcuno su cui gettare tutte le colpe, allontanandole da sé. Del resto anche il Crocifisso fu trattato come un capro espiatorio. È un’ultima “de-responsabilizzazione” contraria alla verità dell’umano. Invece i nostri atti ci seguono. Senza espiazione l’io non trova pace. Il perdono, quello di Dio, quello autentico, esige da parte nostra il riconoscimento delle nostre colpe e la disponibilità ad espiarle.

Le tre grandi parole della Quaresima: preghiera, carità e digiuno ci indicano la strada.

Chiediamo la grazia del dolore dei nostri peccati preparandoci ad un’umile, completa e sobria confessione nel sacramento della penitenza. Il dolore dei peccati non è semplice senso di colpa, ma è un giudizio della ragione contrita e commossa. Sottomettendoci al Suo giogo dolce e leggero saremo risollevati dalla Misericordia che, come dice Ungaretti, «perennemente riedifica umanamente l’uomo».

 

Signore Gesù,

la compassione della Tua santissima Madre,

la tenerezza della Veronica,

il sostegno del Cireneo,

non sono riusciti a evitarTi la caduta

inflitta dalle nostre colpe.

Nel Tuo Volto santo noi, peccatori,

riconosciamo la misericordia del Padre.

Concedi ai nostri cuori assetati di redenzione

il dono del Tuo Spirito.

Crea in noi un cuore nuovo,

riempilo di compassione per i nostri fratelli uomini.

Figlio a noi consegnato dal Padre, Uomo dei dolori,

esperto nel patire,

abbi di noi compassione. Amen.

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Inizio catechesi 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 1) La condanna  2) Sulla via della croce  3) L'umiliazione dell'amore

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Via Crucis con l’Arcivescovo

Per le sue piaghe noi siamo stati guariti (Is 53,5)

L'UMILIAZIONE DELL'AMORE

(Stazioni VIII-XI)

 Amici, qui presenti e che in vario modo ci accompagnate da lontano, questa sera la Via Crucis ci porta verso le ultime stazioni sulla strada del Calvario. Vogliamo percorrerle fino in fondo, dietro a Lui che ci «amò fino alla fine» (Gv 13,1) e prostrarci ai Suoi piedi, come la Maddalena rappresentata da Hayez, mendicando il Suo perdono. Vogliamo lasciarci invadere dalla forza rigenerante del Suo sacrificio. Vogliamo rispondere alla chiamata che Cristo, «sposo e Signore» rivolge a noi dalla croce (cf. Prima Orazione).

Dalle ferite del Crocifisso sgorga il sangue che copre e rigenera il cuore della Maddalena. Certo la donna aveva amato in un modo stravolto e peccaminoso, ma la grazia, Gesù stesso, la Sua persona, i Suoi gesti e le Sue parole avevano spalancato la possibilità dell’amore vero, oggettivo e perciò effettivo, a questo suo amore sgraziato e impuro. E così la carezza di Maria Maddalena ai piedi di Gesù, richiama il bacio della peccatrice: l’umiliazione dell’amore - è il titolo della tappa odierna della Via Crucis - del Maestro contagia la discepola.

Nel silenzio della crocifissione risentiamo l’eco delle parole di Gesù: «Sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato» (Lc 7,47): il perdono sovrabbondante viene incontro al pentimento mosso dall’amore. E la misericordia ricrea: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5). Questa nuova creazione si intravvede già sull’orizzonte attraversato dalla luce sfolgorante della resurrezione, di cui Maddalena sarà la prima testimone: nella Sua morte la morte è vinta (il teschio che la raffigura rotola via).

 su Il nostro cammino di questa sera sia tutto attraversato dalla supplica: “Donami, amato Gesù, di compiere l’esperienza piena dell’amore nel rapporto con Dio, con il prossimo, con me stesso”.

Meditiamo, ora, l’umiliazione dell’amore inflitta a Gesù, l’Uomo dei dolori.

VIII. Gesù incontra le donne di Gerusalemme

 «Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: “Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli”» (Lc 23,28). Il testo potrebbe indirettamente riferirsi ad un’usanza, descritta nel Talmud, propria delle donne aristocratiche di Gerusalemme (quello di Luca è il vangelo delle donne…) di preparare bevande calmanti e di porgerle ai condannati, in un gesto di materna compassione.

«Ma Gesù voltandosi verso di loro disse…». Non rimuoviamo la forza di questo “ma”! Gesù, che ha pianto su Gerusalemme, stremato lungo la via dolorosa, corregge ora il pianto delle donne - e anche il nostro – aprendo la compassione alla conversione. Lo porta in profondità: penitus, penitenza.

Non possiamo, infatti, volgere lo sguardo a Gesù se non nella coscienza di essere peccatori. Mentre le nostre giornate, troppo spesso dominate dalla distrazione e dalla dimenticanza del Crocifisso glorioso, sono segnate da un cuore arido, imperturbabile. Donaci Signore «le lacrime che sciolgono la colpa, il pianto che merita il perdono» (Sant’Ambrogio, Esposizione sul Vangelo di Luca, X, 90). Insegnaci a chiamare per nome il nostro peccato per provarne autentico dolore. Come avranno reagito le donne di Gerusalemme al severo richiamo di Gesù? Eliot – lo abbiamo sentito – legge il loro sgomento: «Dio ci ha sempre lasciato una speranza, uno scopo./ Ma adesso siamo macchiate da un terrore nuovo,/… Dio ci sta abbandonando…». «Dio mio perché mi hai abbandonato?» è il grido della preghiera di Gesù sulla croce.

 su Gesù, lasciandosi trattare da peccatore (cf. 2Cor 5,21), accettò di sperimentare nella sua persona il dolore radicale della separazione, apparentemente definitiva, dal Padre amato. Il peccato infatti separa, distrugge ogni relazione. Che significa questo? Può voler dire soltanto che Gesù si abbassò volontariamente a fare, in nostro favore, l’esperienza del dolore e della sofferenza più radicale: la perdita dell’Amore.

Perché non compiere ogni giorni in questo tempo benedetto di Quaresima, un piccolo esercizio di pietà? Prendiamo fisicamente in mano il crocifisso e contempliamolo intensamente. Come avvenne con Pietro, il suo sguardo ci muoverà a riconoscere il nostro peccato, a provarne dolore, accostandoci al benefico sacramento della riconciliazione.

IX. Gesù cade la terza volta

«Si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca» (Is 53,7). Quest’ultima espressione è ripetuta due volte in un solo versetto. Il silenzio del Servo è estremamente insolito. «Era come agnello condotto al macello» (Is 53,7): in aramaico un unico termine (talya) designa sia l’agnello che il servo, la figura della vittima innocente.

«Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo… Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi» (Is 53,8). È la solitudine più radicale, il Crocifisso è il più emarginato degli uomini. Nel Responsorio di De Victoria si usa un verbo ancora più forte: «Venite,… eradamus eum de terra viventium», strappiamolo via fin dalle radici dalla terra dei viventi.

È l’assalto rabbioso del Maligno che è il Divisore (dia-ballos), colui che svelle l’uomo dalle sue appartenenze costitutive. La terza caduta di Gesù, perché «il peso per le membra è troppo grave» (Luzi), dice quanto sia greve la Sua solitudine. L’uomo abbandonato a se stesso non può che rimanere schiacciato dal peso del male.

E l’amore dell’Uomo-Dio accetta di essere schiacciato a terra, umiliato. Davanti al male e alla sofferenza noi ci ribelliamo, Lui accetta: è il Paziente. «Tutto ha sofferto con la sua pazienza, per dare un insegnamento alla nostra pazienza» (Sant’Agostino, Sermone 175, 3, 3).

Così fanno anche i martiri. Ricordiamo il martirio del sangue dei nostri fratelli cristiani perseguitati in troppe parti del mondo. E quello di tutti coloro che sono perseguitati o uccisi per la verità e la giustizia. «Ci sono anime innocenti, /creature pietose che si angosciano, /non si danno pace. E questi, ti prego, prediligili. …/Tra gente come loro ho seminato le beatitudini, /erano meravigliati - alcuni un giorno capiranno» (Luzi). Anche noi ci scandalizziamo di fronte alla “strana necessità del sacrificio”. Eppure è nel sacrificio che tutto diventa vero.

 su X. Gesù è spogliato delle vesti

 «Quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti… e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d'un pezzo da cima a fondo» (Gv 19,23). Il vestiario dei condannati, di diritto, veniva scelto dagli esecutori della sentenza: senza saperlo, il pragmatico Pilato riconosce a Gesù il ruolo del sommo sacerdote, la cui tunica doveva essere senza cuciture.

Il Signore viene spogliato. La nudità di Gesù, il nuovo Adamo, ci riporta in qualche modo alla nudità del primo Adamo. Eppure c’è una radicale differenza. Non siamo più di fronte all’innocenza originaria in cui il corpo risplendeva in tutta la sua natura relazionale, come segno di comunione con Dio e con l’altro. L’uomo era nudo perché nulla nascondeva la sua verità, il suo rapporto col Creatore. Ora, invece, dopo la rottura della relazione costitutiva con Dio, la nudità, ferita mortalmente da quella perdita, soffre vergogna.

Nella spogliazione Gesù accetta di seguirci «sino al fondo abissale, infernale, della condizione mortale. Ed è lì - trasfigurazione a rovescio, trasfigurazione non sul monte ma nell'abisso - è proprio lì, proprio per quello che lì avviene che egli è glorificato. La sua discesa nelle tenebre, alla ricerca dell'Adamo smarrito che è in ciascuno di noi, fa esplodere in tutto il suo splendore l'amore di Dio per l'uomo» (Clément).

Con gli occhi fissi su Colui che sta per essere crocifisso ripetiamo col versetto dello Stabat Mater: «Fac ut ardeat cor meum in amando Christum Deum».

E la supplica al Signore perché il nostro cuore arda nel Suo amore diventa domanda di verità. Come scrive Giovanni Paolo II nel Trittico romano nel Giudizio saremo nudi davanti a Dio. Completamente svelati. L’umiliazione del Crocifisso testimonia che senza la verità legittimata dall’amore alla lunga non viene rispettata la dignità di ogni uomo e di ogni donna. In tempi come i nostri grande è la tentazione di dire “addio alla verità” per accomodarsi in una sorta di “rassegnazione gaia”. Il Cristo denudato diventa allora per noi, soprattutto per i fedeli laici, impegno ad edificare, anche in questa nostra società plurale, la civiltà della verità e dell’amore.

 su XI. Gesù è inchiodato alla croce

 «Poi lo crocifissero» (Mc 15,24). Gli evangelisti riferiscono quello che Cicerone definì «il castigo più crudele e ripugnante» (In Verrem, 5,64) in termini sobri e asciutti che nulla concedono alla spettacolarizzazione del dolore, purtroppo così  abituale per la comunicazione massmediatica di oggi. Non c’è bisogno infatti di aggiungere troppe parole. La Croce di Cristo è esplicita, dice con chiarezza quanto è accaduto: «Hanno travestito da schiavo e inchiodato come uno schiavo il padrone del Creato» (Bernanos).

«Cuius livore sanati sumus» (Responsorio, Ecce vidimus eum): il corpo del Signore che pochi giorni prima si era manifestato sfolgorante di bellezza sul monte Tabor ora, si lascia illividire sul palo ignominioso della croce. «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (2Cor 5,21).

La croce di Cristo fa esplodere la consapevolezza del male morale. Una delle censure più pesanti della mentalità contemporanea è quella che riguarda il riconoscimento del proprio peccato. Tutt’al più quando il disagio diventa incontenibile, se ne tollera un travestimento (il senso di colpa a cui abbiamo già fatto riferimento la volta scorsa). Chi ha coscienza del proprio peccato, invece, prova dolore dinanzi all’amore del Crocifisso e da Lui mendica liberazione dal male.

Bernanos, nel brano che abbiamo ascoltato, descrive la sofferenza e la morte dell’Innocente Crocifisso come il «colmo dei travestimenti» del vero: «… hanno travestito da schiavo il Padrone del Creato». Ma «la Terra e l’Inferno insieme non hanno potuto andare più in là di quella mostruosa e sacrilega birbanteria». Perché nella morte singolare di Cristo è vinta la nostra comune morte. L’ultima parola sulla vita dell’uomo non è più la morte, ma la gloria del Crocifisso risorto.

Preghiera, carità, digiuno, documentati in gesti puntuali, siano l’ordito della settimana quaresimale che ci attende.

Signore Gesù,

nel Tuo cammino verso il Calvario,

non hai voluto risparmiarTi nessuna umiliazione.

Per amore Ti sei lasciato schiacciare dal peso della solitudine,

hai patito la vergogna della nudità nella spogliazione

e l’infamia dell’essere per noi inchiodato sul palo della croce.

Più noi ci allontaniamo dal Padre,

più Tu prendi su di Te le conseguenze del nostro smarrimento.

Donaci, o Redentore,

«le lacrime che sciolgono la colpa, il pianto che merita il perdono» (Sant’Ambrogio, Esposizione sul Vangelo di Luca X, 90).

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